domenica 8 novembre 2009

Prima di rileggere Lezione ventuno

Nel sito labcity.it adesso c’è una pagina dedicata a Lezione ventuno con la trascrizione dei testi delle scene del film in cui compare il prof. Kilroy o si parla di lui. Gli attori dettavano. Io scrivevo
Rivedendo quelle scene, mi è venuta voglia di gustarmi l’intero film al pc, da vicino, come leggendo un libro, soffermandomi sui fotogrammi o riascoltando i brani, come sfogliando delle pagine.
Prima di questo esperimento di lettura del film, però, sono andata a cercare quello che avevo scritto da qualche parte, subito dopo avere visto il film al cinema. Così mi è sembrato che questo spazio, annidato tra le pieghe del lavoro che sto facendo su City, fosse il posto adatto per accogliere quei pensieri che di quel lavoro sono indubbiamente un riflesso.


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Ho atteso l’uscita del film col gusto di chi attende il piacere di una cosa che conosce già, come se in un certo senso lo avessi già visto e o letto. Troppi trailer e interviste per temere una delusione.
Guardando i trailer pensavo che i personaggi avevano proprio l'aspetto che mi immaginavo. Kilroy era uguale al Kilroy della mia mente. Martha era uguale alla mia Shatzy.
Sapevo anche che questo film, per me, avrebbe comunque generato un’onda lunga che sarebbe arrivata, un giorno, ad arenarsi dentro il sito su City a cui lavoro da anni e, come Shatzy col suo western, conto di non schiattare prima di averlo finito.
Avevo anche letto il commento, sulla mailing list dentro la quale scrivo, di qualcuno che legge Baricco con una focale che si avvicina alla mia e i suoi occhi mi avevano confermato il film che avevo in mente.
Poi ho visto il film.
Le prime domande che mi sono state fatte uscendo dal cinema sono state: "ti è piaciuto", ma anche "che significava". E mi mancavano le parole per entrambe le risposte ma avevo bisogno di silenzio e di far durare quella commozione che era venuta fuori senza che me ne rendessi conto, figlia di un’emozione che non c'era durante buona parte del film e che invece, dopo, continuava fuori dalla sala.
So bene che la commozione non è recensione positiva o negativa, e devo dire che, fino a un certo punto, durante il film provavo una netta sensazione di distanza, anzi, quasi il bisogno di prendere distanza, da alcune scene che mi sono sembrate decisamente brutte. Certe frasi che mescolavano alla dimensione onirica di un immaginario da romanzo ottocentesco riferimenti a metropolitane e discoteche, quiz televisivi, alieni, bastoncini di pesce, saranno state anche molto “barbare” in senso baricchiano ma il risultato era comunque grottesco. Poi ho pensato che il segreto era riuscire a leggere quelle immagini dissonati come frasi della lezione di Kilroy, raccontate dal suo personaggio, tra l'incanto e il fumetto. E allora ogni pezzo è andato a posto.
Forse il film avrebbe dovuto soffermarsi più su Kilroy e sul suo modo di fare lezione, per portare per mano lo spettatore dentro i mondi che passavano sullo schermo. Invece lascia quasi subito lo spettatore solo, nel cuore delle immagini, a faticare alla ricerca di punti fermi in una dimensione priva di coordinate spaziotemporali fisse. Eppure in mezzo a quel disorientamento, che costringe la mente ad essere vigile per cercare di raccapezzarsi, l’emozione in qualche modo lavora sotto.
La mattina dopo, dopo il silenzio di cui avevo bisogno per bere quella strana emozione, difficile da inquadrare, ma che a un certo punto era arrivata, ho pensato che Baricco l'ha fatto apposta, che ha fatto quella cosa che dice di aver fatto anche con City: disorientarti e farti sentire solo e perso in una città estranea per poi farti riconoscere una musica che ti appartiene, in lontananza, che altrimenti, nella tua città, non avresti notata (Baricco al salone del libro di Parigi del 2002). La musica che ti appartiene la senti, a un certo punto, mentre vaghi con dei punti interrogativi sulla faccia dentro Lezione 21, e ci sono note dappertutto, sparpagliate. Senti il Baricco che conosci e un sacco di cose che hai amato nei suoi libri. Ti si forma un sorriso ebete quando uno dei busti incipriati dice "voilà".
L'emozione di Lezione 21 è un’emozione che lavora senza farsi notare, e in sordina si allarga, mano a mano che riconosci le frasi, le immagini, i personaggi e le storie conosciute. Ed è un’emozione che continua a lavorare nel tempo.
Non è stato facile “vedere” un film. Quello era “il film di Baricco”.
Per tutto il tempo c’era l’ impressione di stare lì a leggere un suo libro. Solo che il libro stavolta aveva le figure in carne e ossa e la musica non la faceva Shatzy con la bocca.
Mentre le pagine del libro scorrevano sullo schermo, si sarebbe potuto dire “che noia, non c’è niente di nuovo” e invece era una sensazione confortante quel riconoscere il proprio sguardo su Baricco nello specchio del suo film.
Ma, se il mio sguardo su Lezione 21 è completamente fregato dalle 20 lezioni precedenti di Baricco, anche lo sguardo del Baricco di Lezione 21, è comunque quello delle sue 20 precedenti lezioni.
Si invecchia insieme. E a me piace.
Baricco non dà l'impressione di volere stupire con cose nuove da dire, ma di volere continuare a dire le sue cose, facendole dire a strumenti diversi, romanzi, saggi, letture teatrali, programmi tivù, interviste, barnum, film. Una sinfonia. Ogni strumento può suonare tutta la melodia, ma nel contempo aggiunge sfumature e colori alla sinfonia.
Forse, come diceva qualcuno in mailing, list questa tenacia è la sua forza e la sua condanna al tempo stesso. Delle due derive in cui invecchiano forza e leggerezza, che “sono inevitabili e sono le due portanti di tutti gli uomini” (secondo quanto Baricco ha detto a Mollica in un’intervita al Tg1), la deriva in cui invecchia la forza è la complessità che finisce con l’imprigionare la forza stessa dentro le strutture sempre più articolate che costruisce. E lo sguardo di Baricco invecchia e acquisisce complessità, ma non si distoglie dal panorama che ama guardare.
É un film sulla vecchiaia Lezione 21, dell’uomo e dei tempi. Era gia in nuce ne I barbari e Baricco dice che ogni sua opera porta dentro già in nuce la successiva. Se dovessi riassumerlo in una frase, direi che tratta di un’istantanea sul destino dell'uomo, solo nel ghiaccio che costruisce il suo attimo di bellezza dentro il suo morire, anzi come dice Kilroy, in cambio del suo morire. Dice in cambio del morire e non in cambio della morte. E fa differenza.
E' c'è tutto Baricco. Il resto è complessità, e nomi per storie da raccontarsi, e tempo che passa. «Morire e dare nomi - non si fa altro di sincero, probabilmente, per il tutto il tempo che si campa» dice Baricco in Questa storia.
Arriverà anche per Baricco il momento in cui gli altri lo percepiranno come ‘vecchio’ e pesante e gli preferiranno la leggerezza di un Rossini nuovo, ammesso che non sia già arrivato.
Ho sentito tanti lettori che avevano adorato Oceano mare non riconoscere più il proprio sguardo nello specchio delle opere di Baricco già a partire da City. Ho sentito altri annoiarsi perché Baricco non fa più nulla di veramente nuovo.
Ho ascoltato una giornalista dire per radio che Lezione 21 non richiama l'immaginario dei suoi libri, forse le sue passioni, la sua presunzione ma l'immaginario è decisamente diverso.
In Lezione 21 a un certo punto Martha dice una cosa tipo che Beethoven era stato abbandonato perché faceva musica colta e il grosso pubblico non lo capiva. Ma Kilroy le risponde una cosa tipo: cazzate! era intelligente il pubblico di Beethoven prima e poi diventarono tutti cretini? No... in quei dieci anni il mondo era cambiato e loro erano andati avanti col mondo. Beethoven era il vecchio.
Mi sono sempre chiesta del rapporto di Baricco col suo pubblico, quello che ha amato Castelli di Rabbia e Oceano mare. Non erano più "facili" Castelli di rabbia e Oceano mare. Non lo erano affatto. Ma piacevano di più. C’erano le stesse cose che si ritrovano in tutto quello che Baricco ha fatto dopo già in Castelli di mare e Oceano mare. Ma piacevano di più.
Che significa?
I lettori sono andati avanti sulla strada della mutazione e lui, Baricco, è diventato il vecchio?
Questa forse è la natura delle cose se è vero che la gloria è una scia di merda dietro la schiena e la vita è un duello come dice il vecchio Bird, il pistolero del western di City. Uguale al Beethoven di Lezione 21, Bird. E Beethoven in Lezione 21 si vede per pochi secondi. Di spalle.
MT

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